Musica e libertà

I viaggi del Jazz

Esiste un unico aggettivo per descrivere il jazz, per delineare la sua essenza, spiegare l'anima dentro il suo scheletro?  Ebbene, qualsiasi parola pronunciata finirebbe per colpire il bersaglio in un solo punto: il jazz è unico. Il jazz è jazz, è un insieme di genetiche "meticce", di stili differenti che si fondono alla stessa temperatura. Al punto di ebollizione, ciò che nasce è davvero singolare: una comunicazione, l'interazione improvvisata tra ascoltatore e musicista in una sorta di cerimonia alla partecipazione.

Le radici del jazz sono profonde, e sono emerse in superficie con gran rumore, dalle classi più basse a quelle più agiate dell'America del '900, di pari passo con i grandi eventi della storia e senza suoni di sottofondo, ma espandendosi, liberandosi, spezzando le proprie catene. Da dove arriva questo jazz? Una parola: Africa.

IN PRINCIPIO ERA SCHIAVITÙ. L’Africa di cui si parla è quella degli schiavi, deportati nel Nuovo Mondo nel XVI secolo; le danze, i canti e le tradizioni dei prigionieri furono trascinati con loro verso l’America, raccontando la sofferenza di un popolo e mischiando le proprie strutture musicali e corali alle culture d'oltreoceano. Queste si rifacevano soprattutto all’Europa centro-settentrionale, da dove si richiedevano a gran voce cotone, zucchero, tabacco e altre materie prime.

Strappati alla loro terra, il ritmo ed il call and response (la “chiamata-risposta” tipica del folklore musicale nero), resistevano ogni giorno all'oppressione e allo sfruttamento nelle piantagioni, nei cantieri o nelle miniere, come una sorta di arma pacifica che si rinnovava ad ogni ondata di deportati, in continua affluenza come gli immigrati europei. Fu allora che nacquero le work songs, i cosiddetti canti da lavoro delle coltivazioni rurali del sud: espressione di racconti di caccia, nascite, e tradizioni africane, questi canti si immergevano in tutta la nostalgia per la terra natia e nel bisogno di ribellione, trasformandosi spesso in cori codificati, mentre si scandiva il ritmo dell'insopportabile giornata di lavoro .

Quando fu chiaro al padrone che le work songs avrebbero potuto istigare alla fuga, si decise di "sedare" gli schiavi con la religione, per indottrinarli all'obbedienza. Quel cristianesimo imposto e coatto si addentrò coi suoi temi biblici nei canti da lavoro, dando origine agli spirituals

Oppressed so hard they could not stand –Let my people go!- recita una frase del testo di Go Down Moses (qui sotto nella versione di Louis Armstrong), un brano che racchiude davvero l'anima di quelle storie.

Due stili di fare musica (quello bianco religioso e quello nero ritmato) stavano convergendo tra loro. Battiti di mani e piedi, crescente eccitazione e inni al cielo: il canto si animava e abbracciava il movimento, improvvisando versi e rispondendo al sacerdote con quel fare estemporaneo che sarà ben riscontrabile nel jazz, e mai lasciato al caso.

BLUES E RAGTIME. Melanconico, a volte disperato, il blues veniva dal sud, con le sue “blue notes”, le sue parole di vita, di esperienze sordide o profane; si raccontava tra un bluesman o una blueswoman, un ascoltatore (non più un sacerdote) e una chitarra che, dopo il banjo, divenne uno strumento peculiare del genere. Il blues, nato nella seconda metà del XIX secolo, manteneva molte caratteristiche delle work song e degli spiritual, ma assunse presto la propria identità: le sue note turbate e agrodolci si fonderanno con le melodie e i suoni del jazz, in contrasto con la tradizione armonica europea.

Tra i bisnonni del jazz si annovera anche il ragtime: gioioso e mai improvvisato, questo genere mischiava la tradizione musicale africana a quella del Vecchio Continente sulle note allegre di un pianoforte, diffondendosi soprattutto dopo la Guerra di Secessione americana. Un pezzo storico? "The Entertainer" di Scott Joplin, del 1902.

NEW ORLEANS. Questa città merita importanti considerazioni nello sviluppo ed evoluzione del jazz. New Orleans è stata ed è tuttora un singolare nodo cosmopolita. Da tradizionale città portuale, infatti, ha visto sbarcare genti da ogni dove, trasformandosi in un gomitolo di culture: francesi, spagnoli, irlandesi, etnie miste, e creoli che, con il loro bagaglio di musiche europee, convivevano con i neri.

Di riflesso battevano i cuori del ragtime (i cui pianisti si esibivano nello storico quartiere a luci rosse di Storyville), del blues, delle piccole band con la cornetta, il clarinetto e il trombone; il cosiddetto "stile New Orleans", tipico di inizio '900, stava venendo alla luce, mentre creoli e africani univano i loro patrimoni musicali contro il razzismo dopo la fine della schiavitù. A New Orleans si suonava anche marciando, come testimonia la tradizione delle marching band, tipiche dei cortei funebri e di quel sud che stava regalando ancora storia alla musica jazz. 

VERSO NORD. Attratto da migliori guadagni rispetto a quelli dei bordelli di New Orleans, il jazz salì sui battelli e navigò sul Mississippi: voleva raggiungere il nord, Chicago, le città delle nascenti etichette discografiche, dei Roaring Twenties, mischiandosi con la storia, con le persone, ancora e ancora, nascondendosi negli speakeasy per evitare il Proibizionismo degli anni Trenta, e cambiando pelle tra solisti emergenti e l'epoca delle Big Band. Il jazz cominciava ad avere lo swing, senza il quale "it don't mean a thing", ed entrava nel corpo: si ballava, a New York, ad Harlem, tra bianchi e neri, e si suonava, tra bianchi e neri. I nomi degli artisti si facevano sempre più celebri, finchè la Seconda Guerra Mondiale spense anche la Swing Era, e molte sue vite. Dal 1945 il jazz diventerà frenetico bebop, più complesso per gli ascoltatori, e continuerà ad indossare diversi abiti negli anni a venire, sfoggiando musicisti di fama internazionale e incontrando un pubblico diverso, raccontandosi sempre, aprendo la sua valigia di emozioni e ricordi.

Come dimostrano le copiose ricerche a riguardo, la storia di questo genere meriterebbe certamente più spazio, ma nulla ci vieta di viaggiare un po' sulle sue rotte. Il passato del jazz è storia stessa, fatta di donne, uomini, esperienze, sofferenza e ribellione: quest'arte è cresciuta con loro, unendo le musiche, le tradizioni, le persone, divincolandosi attraverso i secoli come auspicio simbolico di libertà, e arrivando a regalarci quelle melodie sincopate sulle quali oggi amiamo ballare. Assieme.

 

Samanta (Fosca)

 

JAZZ JOURNEYS 

Is there a single adjective to describe jazz, to outline its essence, to explain the soul inside its skeleton? Well, any spoken word would end up hitting the one very target: jazz is unique. Jazz is jazz, it is a set of “mestizo” genetics, of different styles that need the same temperature to blend. At the boiling point, what is born is truly unique: a communication, the improvised interaction between listener and musician in a sort of participation ceremony.

The roots of jazz are deep, and have emerged to the surface with great noise, from the lower classes to the wealthier ones of America in the 1900s, hand in hand with the great events of history and without background sounds, but expanding, freeing themselves, breaking their chains. Where does this jazz come from? One word: Africa.

IN THE BEGINNING IT WAS SLAVERY. The Africa we are talking about is that of slaves, deported to the New World in the sixteenth century; the dances, songs, and traditions of the prisoners were dragged with them to America, recounting the suffering of the people and mixing their musical and choral structures with overseas cultures. These were mainly based on central-northern Europe, from where cotton, sugar, tobacco and other raw materials were demanded.

Torn from their land, the rhythm and the call and response (typical of black musical folklore), resisted oppression and exploitation in plantations, yards or mines every day, as a kind of peaceful weapon which was renewed with each wave of deportees, in constant influx like European immigrants. It was in this context that the so-called work songs of the rural crops of the south came to life: deriving from tales of hunting, births, and African traditions, these songs immersed themselves in all the lack for the homeland and in the need for rebellion, often codified in the content of the choirs, while the rhythm of forced labor was marked.

When it became clear to the masters that the work songs could praise the escape, they chose to “sedate” the slaves with religion, to indoctrinate them into obedience. That imposed and forced Christianity penetrated with its biblical themes in the work songs, giving rise to the spirituals.

“Oppressed so hard they could not stand – Let my people go! -” reads a phrase from the text of Go Down Moses (below in Louis Armstrong’s version), a song that truly embodies the soul of those stories.

Two styles of making music (the purely religious white one and the lively and groovy black one) were approaching: clapping of hands and feet, growing excitement and hymns to heaven; the song came alive and embraced the movement, improvising verses and responding to the priest with that extemporaneous and deliberate way that subsequently can be easily found in jazz.

BLUES AND RAGTIME. Melancholy, at times desperate, the blues came from the south, with its sad “blue notes”, its words of life, of sordid or profane experiences; it was told between a bluesman or a blueswoman, a listener (no longer a priest) and a guitar which, after the banjo, became a peculiar instrument of the genre. The blues, born in the second half of the nineteenth century, retained many characteristics of work songs and spirituals, but soon took on its own identity; his lament and his troubled and bittersweet notes will merge with the melodies and sounds of jazz, in contrast with the European harmonic tradition.

Among the great-grandparents of jazz there is also ragtime: joyful and never improvised, this genre mixed the African musical tradition with that of the Old Continent on the cheerful notes of a piano, spreading especially after the American Civil War. A historical piece?  “The Entertainer” by Scott Joplin, from 1902.

NEW ORLEANS. This city deserves important considerations in the development and evolution of jazz. New Orleans has been and still is a singular cosmopolitan hub. As a good port city, in fact, it has seen people disembark from everywhere, becoming a knot of cultures: there were French, Spanish, Irish, mixed ethnicities, Creoles who, with their baggage of European music, coexisted with blacks.

Consequently, the hearts of ragtime (whose pianists performed in the historic red light district of Storyville), the blues, small bands with cornet, clarinet and trombone were beating; the so-called “New Orleans style”, typical of the early 1900s, was coming to light, as Creoles and Africans united their musical heritage against racism after the end of slavery. In New Orleans music was played while marching, as evidenced by the tradition of marching bands, typical of funeral processions and of that south that was still giving history to jazz music.

TO THE NORTH. Attracted by better earnings than those of the New Orleans brothels, jazz takes the boats and sails on the Mississippi: it wants to reach the north, Chicago, the cities of the nascent record labels, the Roaring Twenties, mixing with history and people, again and again, hiding in speakeasies to avoid the Prohibition of the Thirties, and changing skin between emerging soloists and the era of the Big Band. Jazz began to have swing, without which “it don’t mean a thing”, and entered the body: it was danced, in New York, in Harlem, between blacks and whites, and played, between blacks and whites. The names of the artists became more and more famous, until the Second World War extinguished the Swing Era, and many of its lives. From 1945 jazz will become frenetic bebop, more complex for listeners, it will continue to wear different clothes in the years to come, showing off internationally renowned musicians and meeting a different audience, always narrating itself, with a suitcase of emotions and memories.

As the copious research in this regard shows, the history of this genre certainly deserves more space, but nothing prevents us from traveling a little along its routes. The past of jazz is history itself, made up of women, men, experiences, suffering and rebellion: this art has grown with them, combining music, traditions, people, struggling through the centuries as a symbolic wish for freedom, and coming to gift us with those syncopated melodies we love to dance on today. Together.

 

written by Fosca – translated by Bibi 

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